Attivisti green – nuovi crimini di strada a sfondo ecologico

PREMESSA

L’ambiente naturale (o ecosistema) è stato universalmente riconosciuto, negli ultimi decenni – non solo eticamente e moralmente – come bene sui generis del pianeta intero, valore supremo, appartenente non solo agli esseri umani, ma paritariamente, a tutte le forme di vita in esso presenti. L’importanza dell’ambiente è tale che ad ogni menomazione dell’ecosistema naturale corrisponde una menomazione delle condizioni di benessere o di sopravvivenza delle forme di vita che vi trovano dimora. Da questo punto di vista, l’ambiente è un bene fondamentale e rappresenta la matrice di ogni altro valore, inclusa l’esistenza e la sopravvivenza della vita biologica. Ma a tale presa di coscienza non è stato ancora conferito un vero e proprio riconoscimento normativo – nè nazionale, né internazionale – che tuteli, effettivamente, l’ambiente come valore supremo da salvaguardare, con adozione, a tutti i livelli, di uno stile di vita dei cittadini ed una ritmo di produzione industriale eco-sostenibili. L’espansione demografica dal dopoguerra ad oggi, nonché la crescita tecnologica – che ancora attualmente imperversa liberamente – hanno determinato, a livello mondiale, un serrato sfruttamento delle risorse ed un conseguente deterioramento delle condizioni naturali dell’ambiente (basti citare l’antropizzazione urbana, l’uso intenso di idrocarburi, le masse di rifiuti che occupano la superficie del pianeta o che vagano alla deriva degli oceani e delle sfere alte dell’atmosfera). Secondo gli esperti, il deterioramento delle condizioni naturali dell’ambiente, determinate dallo sfruttamento crescente delle risorse, ha condotto ad evidenti alterazioni ecosistematiche che vanno dal disequilibrio della catena alimentare, all’estinzione di specie animali e vegetali alle alterazioni climatiche. Da qui un aumento di sensibilità – da parte di molti governi e degli esseri umani – verso questa forma di bene di radicale importanza. Le politiche internazionali delle potenze mondiali stanno tentando, negli ultimi lustri, di ridurre gli effetti dell’impatto antropico sull’ambiente (miliardi di esseri umani che utilizzano quotidianamente molteplici risorse e prodottu industriali) ma con scarsi risultati (considerando anche che i paesi maggiori nel processo di industrializzazione e con il numero maggiore di cittadini – India e Cina – hanno scelto di gestire autonomamente il problema).

LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE VOLONTARIE ED I MEMBRI DI APPARTENENZA

In queste dinamiche complesse si cala la condotta dei membri delle associazioni attive di tutela volontaria ambientale (noti come ambientalisti o attivisti verdi o eco).
Stando alla cronaca, in nome dell’ambiente, i membri di questi movimenti (spesso anche in età giovanissima), giungono a tenere comportamenti rilevanti da un punto di vista sociale, fortemente limitativi delle libertà e deterioranti dei beni altrui. Sono note le rocambolesche uscite di attivisti che bloccano con catene umane le principali arterie stradali, le linee ferroviarie e gli aeroporti, nonché gli imbrattamenti plateali di monumenti artistici o edifici pubblici.
Siffatti contegni – al di là dell’opinabilità etica e morale – assumono indubbiamente rilevanza sotto il profilo giuridico in quanto volti a limitare la libertà degli individui o a danneggiare beni patrimoniali.

LE FATTISPECIE DI REATO A SFONDO AMBIENTALE

1) IL REATO DI VIOLENZA PRIVATA

La prima figura di reato che viene in rilievo – a cospetto delle catene umane che interrompono il traffico veicolare o occupano gli aereoporti – è la Violenza privata, punita con pena detentiva che giunge ad un massimo di quattro anni. L’art. 610 del codice penale, punisce chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa.
Non esistono dubbi sul fatto che il blocco del traffico operato dai membri di queste associazioni – seppur ispirate da nobili intenti, oltre al fatto di risultare controproducenti da un punta di vista della tutela ambientale (migliaia di veicoli che sostano con il motore acceso per tutto il tempo che dura l’iniziativa), finiscono per limitare la libertà di azione dei cittadini, spesso anche per ore e, comunque, fino all’intervento delle forze dell’ordine (non sempre tempestivo a causa della congestione stradale causata dagli stessi dai membri delle associazioni ambientaliste). Alle limitazioni di libertà di azione corrispondono si altrettante limitazioni di diritti come, ad esempio, quello alla cura sanitaria (si pensi al malato dentro l’ambulanza), quello al lavoro (chi per recarsi al lavoro percorre la strada bloccata dai gruppi eco-attivisti), quello allo studio (studenti, partecipanti ai concorsi) e tanti altri che, nella fattispecie, assumono indubbio rilievo civilistico sotto il profilo del danno illecito, ma anche ulteriormente penale (il malato in ambulanza che a causa del blocco stradale non arriva in tempo in ospedale e decede).

2) I L R E A T O D I I M B R A T T A M E N T O O D A N N E G G I A M E N T O

Le azioni dei membri dei gruppi ambientalisti giungono talvolta ad attaccare le opere dell’arte. L’attacco all’arte è spesso simbolico, ma non sempre i materiali usati per imbrattare le creazioni artistiche sono rimovibili senza danni permanenti (zuppa, purè, torta di panna, colla, farina, vernice ecc). In tal senso è tracciabile la distinzione tra azioni che determinano un deterioramento permanente dell’opera – che darà luogo al reato di danneggiamento (art. 635 cod. pen.) – e azioni che determinano, invece, un deterioramento riparabile – che darà luogo alla fattispecie di cui all’art. 639 del codice penale, che punisce il reo con una pena più mite.

(Avv. Sergio Lapenna)