diritto all oblio

Il diritto all’oblio

L’espressione “DIRITTO ALL’OBLIO” viene diffusamente associata al fenomeno della divulgazione di notizie, concernenti l’identità delle persone, mediante pubblicazione di articoli o reportage su internet e vuole rappresentare un argine di tutela per la riservatezza di quei soggetti che, anche dopo un notevole lasso di tempo, risulta vulnerata dalle pubblicazioni ancora reperibili in rete.
La possibilità di rinvenire notizie in rete, anche dopo molto tempo, è legata alle caratteristiche intrinseche della rete a fungere da archivio dati e dei motori di ricerca che indicizzano e memorizzano i collegamenti diretti a tali archivi.
Il problema principale non è dovuto soltanto all’archivio originale, contenente la notizia di cronaca involgente l’identità delle persone e, talvolta, aspetti riservati, ma alla capacità dei numerosi motori di ricerca di registrare i collegamenti a tali archivi e renderli disponibili alle istanze di ricerca di chiunque.
Da questo punto di vista, internet si comporta come una cassa di risonanza che moltiplica le possibilità di consultazione dell’archivio originale a causa dell’azione automatica degli algoritmi esplorativi dei motori di ricerca.
L’oblio passa, quindi, attraverso la deindicizzazione dei motori e la cancellazione della notizia dalla/e testata/e originaria/e.
L’esigenza di tutelare la sfera di riservatezza della persona contro la diffusione di notizie di cronaca risalenti a un lontano passato era sorta, tuttavia, già prima dell’avvento della rete digitale, ed era pur sempre legata alla diffusione di notizie operata dai mezzi di informazione tradizionale.
Il tema riguardante il diritto di essere dimenticati (che è un aspetto specifico del più ampio diritto alla riservatezza) incontra il suo antagonista principale nel diritto ad informare e ad essere informati.
Già riguardo alla diffusione delle notizie mediante lo strumento dell’informazione tradizionale, negli anni ’80 del secolo scorso, la giurisprudenza di legittimità si era prodigata nel dettare regole volte a contemperare le opposte esigenze di informare e di rimanere nascosti (Cass. 5259/1984, c.d. «sentenza decalogo» sui limiti al diritto di cronaca).
Le regole dettate in proposito dai giudici supremi suggerivano già allora una diffusione dei fatti di cronaca attraverso un metodo di esposizione basato sui criteri della verità dei fatti, dell’interesse pubblico della notizia, dell’attualità di tale interesse e dell’utilizzo di un linguaggio contenuto.
Successivamente, la Corte di Cassazione, riguardo allo stesso tema ma in una prospettiva temporale diversa, allorquando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla prima legittima diffusione della notizia, ha assunto un atteggiamento altresì garantista per l’interesse del soggetto coinvolto, sancendo che il trattamento corretto e lecito della notizia da parte della testate giornalistica debba effettuarsi, innanzitutto, mediante l’aggiornamento e l’integrazione della notizia rispetto alla realtà attuale (Cass. civ, sez. III, n. 5525/2012).
Attualmente, l’art. 17 del Regolamento Europeo 679/2016 (c.d. G.D.P.R.) prevede il diritto dell’interessato ad ottenere, senza ingiustificato ritardo e a determinate condizioni, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano e che non siano più di interesse per la collettività (per il testo della norma: https://www.altalex.com/documents/news/2018/04/12/articolo-17-gdpr-diritto-all-oblio).
Il requisito del notevole lasso di tempo trascorso non è, tuttavia, sempre sufficiente e dirimente in quanto è ben possibile che la notizia del passato abbia riacquisito interesse in virtù del verificarsi di vicende più attuali ad essa collegate.
L’editore digitale, che attraverso i propri archivi mette a disposizione di un numero indefinito di persone una notizia di cronaca, è in ogni caso tenuto ad evitare che venga leso il diritto all’oblio delle persone attraverso la diffusione di fatti remoti e in assenza di un interesse pubblico permanente alla notizia.
Di recente, il Garante della Privacy, con provvedimento 116/21, ha, per esempio, rigettato la richiesta di rimozione di una notizia di cronica risalente nel tempo, rilevando:
a) che il trattamento dei dati personali dell’interessato risultava essere stato effettuato, all’epoca della pubblicazione originaria della notizia, nell’esercizio del diritto di cronaca giornalistica in quanto rispondente all’interesse del pubblico a conoscere le vicende riportate all’interno del relativo articoli anche in considerazione dell’attività professionale svolta dall’interessato.
b) che l’adozione, nel caso di specie, da parte dell’editore, di specifiche misure tecniche, di deindicizzazione volte a rendere inaccessibile l’articolo dai motori di ricerca esterni al sito del quotidiano, potevano ritenersi idonee a soddisfare l’esigenza di bilanciamento tra il diritto all’oblio invocato dall’interessato e la salvaguardia delle finalità di informazione;
c) che la conservazione dell’articolo all’interno dell’archivio on-line dell’editore doveva ritenersi rispondente ad una legittima finalità di archiviazione di interesse storico-documentaristico che, pur differente dall’originaria finalità di cronaca giornalistica, risulta compatibile con essa (il testo completo del provvedimento è consultabile al seguente link: https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9577346).
Da tale provvedimento si evince, quindi, che il diritto all’oblio – come quello più generale alla riservatezza personale – incontra dei limiti allorquando il trattamento dei dati sia necessario per l’esercizio della libertà di informazione o per finalità di interesse storico-documentaristico.

(Avv. Sergio Lapenna)